
DISGRAFIA E ADHD
“Se differisco da te, non ti offendo, ti accresco” (A. de Saint Exupery)
Alla domanda “cos’è l’ ADHD?” l’ AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD) risponde così: “(…) sono quei bambini che le insegnanti non vorrebbero mai tenere: si alzano continuamente dal loro posto, danno fastidio ai compagni, non riescono a svolgere i compiti assegnati e finiscono spesso per cambiare banco, classe e talvolta scuola.
Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività si presenta sostanzialmente come un’ incapacità del bambino nell’ autoregolazione e nell’ autocontrollo. Sono bambini in cui le funzioni di pianificazione, monitoraggio, autocorrezione e revisione sono deficitarie e non li supportano nell’ affrontare le quotidiane attività scolastiche (e non solo). Sono bambini che si stancano e annoiano facilmente, spesso lasciano incompleta un’ attività perché richiamati da qualcosa di più interessante, controllano difficilmente i loro impulsi e raramente riescono a posticipare una gratificazione. Come e in che termini può essere inquadrata la produzione grafica di questi bambini intesa come specchio del loro funzionamento?
La scrittura è rappresentazione grafica della lingua parlata per mezzo di un insieme di grafemi. La corrispondenza fra grafema e fonema non è casuale, così come codificati sono le forme che determinano quel grafema e non un altro; l’ andamento della scrittura non è frutto della scelta dello scrivente (tanto che in alcuni paesi si scrive da destra a sinistra). Insomma la scrittura è un codice, come tale fatto di segni in cui la corrispondenza fra significante e significato è stabile e decisa, non passibile di discrezionalità. Per scrivere è necessaria attenzione, concentrazione, rispetto delle regole; è fondamentale focalizzarsi su un compito ed essere in grado di “tenere” almeno per il tempo necessario a terminarlo.
Lo psichiatra J. de Ajuriaguerra, a seguito delle ricerche condotte con la sua equipe, aveva riservato agli “impulsivi” un gruppo specifico di disgrafie, definendo le loro scritture caratterizzate dalla rapidità del gesto,da movimenti a scatti, dal cattivo controllo. Grafie inquiete e ipercinetiche.
La scrittura spesso è poco curata, veloce, incompiuta perché il bambino non ha tempo di finire quello che ha iniziato, ha altro da fare. Probabilmente ha fretta di terminare, perché attirato da uno stimolo improvvisamente diventato molto più interessante. Difficilmente controlla i suoi impulsi, vale a dire che se c’è altro sul banco, in aula o sul libro che “lo chiama”, con tutta probabilità non si curerà di una “a” che può essere confusa con una “o” oppure di una “m” che diventa una “n” per la mancanza di una delle arcate. Per un bambino con ADHD è praticamente impossibile focalizzarsi su un compito senza una motivazione che lo muova. Per procedere nel gesto grafico e soprattutto per riportare su un foglio un pensiero che la scrittura non solo traduce, ma contribuisce a strutturare, occorre pianificare, seguire una sequenza di passaggi per arrivare ad un obiettivo. Che può essere anche semplicemente arrivare in fondo alla riga, ma è comunque un obiettivo.
Un percorso di rieducazione della scrittura dovrebbe considerarsi terminato solo quando il bambino scrive “bene” in maniera naturale e soprattutto automatizzata (quindi anche a scuola e non solo) e quando scrive qualcosa per cui deve concentrarsi su sintassi e contenuto (per verificare appunto l’ automatizzazione del movimento). Ovviamente è necessario valutare la prestazione massima per quel determinato bambino, il livello oltre al quale non sarà ragionevolmente possibile portarlo. Ecco allora che in bambini con ADHD il tema della generalizzazione dell’ abilità acquisita oltre i confini della rieducazione è quanto mai delicato e difficile da districare nelle sue innumerevoli varianti e variabili, probabilmente tante quanti sono i bambini affetti dal disturbo.
Il percorso di rieducazione potrà considerarsi concluso proprio laddove il bambino diventa capace di scrivere diversamente rispetto alle prestazioni iniziali e ha raggiunto, grazie al percorso, il suo livello massimo di performance; ma rimane aperta la questione di quanto quel bambino sarà motivato poi ad utilizzare e portare avanti quanto acquisito, quanto potrà sforzarsi per fare una pratica corretta dell’ atto scrittorio e quanto invece farà sempre parte del suo modo di essere, della sua personalità, quanto quell’ apparente “gettato via” sul foglio (frutto in realtà di sforzo e fatica) sia specchio del suo essere unico e particolare.
Questo credo sia il limite, tutt’altro che negativo e anzi quanto mai da difendere, della rieducazione della scrittura: supportare nell’ acquisizione del movimento, del raggiungimento della leggibilità, di una sufficiente velocità, evitare al bambino inutili dolori alla mano, ma allo stesso tempo far emergere e preservare con rispetto l’ individualità di ciascuno. E difenderla, perché lo scopo non debba essere per forza la “bella scrittura”.
Dott.ssa Chiara Rizzi – grafologa in formazione